L’origine di questa piatto della cucina povera va ricercato nei meandri dell’antico mercato palermitano della Vucciria. All’interno del mercato troviamo Piazza Caracciolo. In passato al centro di questa piazza vi era la fontana del Garraffo il cui nome prende origine dal termine arabo Gharraf che significa “abbondante d’acqua”. Attualmente questa fontana si trova ubicata a Piazza Marina.
La leggenda narra che proprio vicino a questa fontana si posizionava un tale “Turiddu” per vendere le proprie zucche.
Ma le “cucuzze” di Turiddu erano speciali, un po’ perché egli le lavava nella fontana che si riteneva miracolosa e che sprizzava acqua dalle sue sette bocche ( i cannola), un po’ perché le aveva abilmente preparate utilizzando la ricetta del fegato in agrodolce , ma in realtà erano zucche.
Negli antichi palazzi nobiliari che si trovavano nelle vicinanze della piazza come Palazzo Mazzarino e Palazzo Costantino la cucina era affidata ai “Monsù”. Dalle cucine di quei ricchi palazzi ad ogni mezzogiorno si sprigionavano profumi di pietanze prelibate. Piatti che, ahimé, il popolino non poteva certo preparare ma solo cibarsi del loro ciavuru (odore). Ma l’inventiva dei siciliani era tanta e bastava che qualcuno raccontasse che aspetto aveva il piatto che usciva dalle cucine per provare ad imitarlo. Purtroppo sapere come si preparava un raffinato piatto di cacciagione o uno squisito ragù di carne o anche, come nel nostro caso “u ficatu”, cioè il fegato, non bastava a riempire le pance, perché l’acquisto della carne era al di fuori della loro portata ed era riservato solo ai ricchi.
Nacquero così una serie di piatti poveri che solo nel nome ricordavano le prelibate pietanze, essendo privi dell’ingrediente principale, sostituito con la fantasia ed il gusto da ciò che si aveva a disposizione. Eppure il risultato finale non era da meno. Alle volte addirittura migliore del piatto originale. Nella tradizione gastronomica siciliana sono dunque rimasti col nome originale molti “piatti poveri” dei tempi antichi che oggi sono ritenuti tra le migliori pietanze locali.
Tra essi appunto “U ficatu ri sette cannola”, dove al fegato viene sostituita, con un risultato leggero, gustoso e sorprendente, la zucca rossa.
E, un po’ per irridere i nobili ed i loro Monsù, un po’ per farsi pubblicità, Turiddu prendeva a gridare, ad “abbanniare” nel mezzo del mercato: “U ficatu ri sette cannola! Chi lo vole accattari?”
Quindi se vi è piaciuta la leggenda non ci rimane che preparare questo piatto e gustarlo nelle nostre tavole
U ficatu ri sette cannola
Ingredienti:
500 gr di zucca rossa
2 spicchi d’aglio
olio d’oliva extravergine
zucchero
aceto
sale
pepe
menta fresca
Procedimento
Iniziamo con tagliare a fette la zucca dello spessore di circa mezzo centimetro , dopo avere rimosso i semi e la buccia esterna. riponiamo la zucca in uno scolapasta e la spruzziamo con del sale mescolando in modo da far insaporire tutte le fette. Iniziamo con il mettere in una padella abbondante olio d’olio e due spicchi d’aglio senza buccia e lasciamo andare a fiamma bassa fino a quando l’aglio non risulta dorato. A questo punto rimuoviamo l’aglio e cominciamo a friggere la zucca, non appena la zucca comincia ad annerire ai bordi friggiamo dal lato opposto. Appena pronta la possiamo già posizionare nel suo piatto di portata e lasciarla intiepidire. Uniamo adesso all’olio rimasto dalla frittura un mezzo bicchiere di aceto, dove abbiamo in precedenza sciolto un cucchiaio di zucchero, facciamo sfumare il tutto portandolo a ebollizione per qualche minuto. Regoliamo a nostro gusto con del pepe. Versiamo l’agrodolce ottenuto sopra la zucca fritta e completiamo mettendo dei pezzettini di aglio e qualche fogliolina di menta. Servire freddo
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